“Ad ognuno degli Herbert dentro di noi”
Il ticchettio sulla finestra era interminabile. Tutti sanno che la pioggia rende più cupi, ma lì, in quella stanza di ospedale nel reparto di Oncologia la situazione appariva disperata. In un angolo della sua quadrupla disabitata Herbert stava in silenzio, guardando il soffitto, ignorando la voce della sua unica figlia Jane, che lo implorava di ripensarci, ma lui era un uomo deciso e di poche parole. "Voglio morire" aveva detto circa tre ore prima e Jane sapeva che non avrebbe cambiato idea. Gli avevano proposto un intervento, molto invasivo e pericoloso che lo avrebbe portato a vivere o a morire, ma lui ormai aveva deciso. "Voglio morire", ripeté seccato. Soffocando a stento le lacrime, la figlia gli posò un ultimo bacio sulla fronte e, senza rivolgergli alcuno sguardo si allontanò, uscendo dalla stanza e raggiungendo il fidanzato che l'aspettava in corridoio, lasciando il padre solo, solo con se stesso. Herbert fissò l'orologio sulla parete di fronte a lui, gli avevano detto che aveva ancora due ore per decidere, poi lo avrebbero staccato dalla macchina che lo teneva in vita e, nel giro di qualche minuto, sarebbe morto. Preferiva andarsene così. Aveva già sentito parlare di quell'intervento, circa due anni prima. Era lo stesso che avevano proposto a sua moglie. Avevano sperato, ma non era andato a buon fine. Erano davvero innamorati. Ripensò con malinconica ironia che quella era la stessa stanza in cui Mary, la sua amata Mary, aveva aspettato il suo inevitabile destino. Fissò l'orologio sulla parete. Aveva circa due ore, poi lo avrebbero staccato dalla macchina da cui dipendeva e, nel giro di poco, sarebbe finita davvero. “Ci rivediamo presto Mary” disse in un soffio, poi chiuse gli occhi e cercò di dormire. Non gli importava di essere sveglio. Anzi, forse era meglio non accorgersene. “Mi dispiace Jane” disse, poi cadde in un sonno profondo. Il luogo era strano, un enorme parco. Non aveva mai sognato un luogo simile. Era sicuro di non esserci mai stato eppure aveva qualcosa di familiare. Si guardò intorno. Nessuno. Rivolse lo sguardo al cielo. Non aveva mai visto un cielo così azzurro. Abbassò di nuovo lo sguardo. Una persona si materializzò davanti a lui. Era così per forza. L'avrebbe vista prima altrimenti. Era una donna. Alta, occhi chiari, come i suoi, lunghi capelli marroni raccolti in un’elegante coda. La riconobbe subito. Sua madre. Ma era morta quando lui era piccolo e fino ad allora non l'aveva mai sognata. Era forse morto? "Non temere” disse lei come leggendo nel pensiero suo figlio, aveva sempre avuto questa capacità, “Ti sei solo perso. Questo luogo non è ancora per te”. Herbert non capiva, non era morto, allora che cosa stava succedendo? "Non sei cambiato affatto" disse ad un tratto la madre, sorridente, "impaziente come allora." Gli sì avvicinò e lo guardò a lungo negli occhi. “Sei diventato un uomo ormai. Quasi dimentico che hai già una figlia ventenne”. Come faceva a saperlo? “Come faccio a saperlo?” disse a un tratto lei "Beh, sono tua madre, so un sacco di cose." Herbert le sorrise, neanche lei era cambiata affatto. "Venendo a noi" continuò la donna "so quel che sta succedendo e sappi che non voglio in alcun modo impedirti di compiere le tue scelte. Sono qui solo per guidarti." Guidarlo? Herbert era confuso. “Come ti ho già detto ti sei perso e hai bisogno di aiuto per ritrovare la tua strada. Prima di tutto, inizio dicendoti che io simboleggio il tuo Passato, e credo che senza dare uno sguardo al passato non si possano fare nuovi passi verso il futuro. "Lo guardò con un'espressione tipica da mamma. "Avvicinati" disse. Herbert obbedì. Lei disse solo “Spero che quello che vedrai ti aiuterà a capire". Era in una lunga strada. No, era un corridoio. Alla fine vi era una porta, sapeva perfettamente dove portava. Era lo porta del pronto soccorso dove lui e il padre avevano visto per l'ultima volta sua madre viva. Guardava lo scena come dall'esterno. Un bimbo, seduto su di un lettino, accanto una figura coperto, il cartellino con la causa del decesso riportava incidente stradale. Il bimbo piangeva. Il padre lo abbracciava, sconvolto. A un certo punto il ragazzino si alzò e si diresse nella stanza più esterno. Si sedette su una delle scomode sedie di plastica della sala d'aspetto. Ancora in lacrime. A un certo punto uno voce soave “Perché piangi?” Il bimbo si voltò. Una bambina, forse un anno più piccola di lui, lo teneva per mano. Il bimbo rispose "Mia madre ..." iniziò a singhiozzare forte. "Ti capisco sai" rispose la bambina. “Mio padre è in quella stanza. Oggi lo portano via, vado a vivere da mia zia perché anche mia madre è in cielo ora. Comunque io sono Mary". Il bimbo rispose "Io sono Herbert ... ". Herbert scosse la testa. Ricordava tutto questo, ma perché farglielo rivedere. Si guardò intorno, scoprì che sì trovava di nuovo nel parco, ma era solo. A un certo punto si sentì chiamare da una voce. Si girò di scatto. L'aveva riconosciuta, non poteva essere. Era Mary. "Herbert" disse "non ti ho abbandonato." Lui si sentì un idiota. Aveva sempre accusato sua moglie di averlo abbandonato, ora ovviamente non lo faceva più, ma sì vergognò comunque. Prima che potesse aprir bocca, la ragazza, magra, bionda, bellissima che si trovava davanti a lui riprese a parlare "Credo che tu ormai abbia capito perché sei qui, ti sei perso e come ti ha già detto tua madre hai bisogno di essere guidato. Ebbene, io rappresento il tuo Presente, ciò che è in questo momento la tua vita. "Herbert la guardò fisso negli occhi, lei gli si avvicinò decisa. L'uomo tentò di baciarla, ma lei si ritrasse e lo ammonì seria "Sebbene io rappresenti ciò che è, devi sempre ricordare che sono solo un riflesso, non mi puoi amare qui, così, ma ciò non significa che tu non mi possa amare." Era una donna risoluta, Herbert si era innamorato di lei per questo. "Guarda attentamente ciò che sto per mostrarti". Era in una stanza di ospedale, lo sua. Era triste e solo. Stava dormendo. Fuori dalla porta un pianto mesto. Era Jane. Aveva già perso sua madre, non poteva perdere anche suo padre. Non poteva. Piangeva. Le cadde dalla mano un foglio. Herbert riuscì a leggere solo poche parole, ma esse erano più che sufficienti: Test di Gravidanza Congratulazioni ... Herbert si guardò intorno. Anche Mary era sparita. Non ci poteva credere, Jane, la sua piccola Jane era incinta. Ma non capiva ancora perché tutto ciò gli fosse stato mostrato. “Non preoccuparti, capirai” disse ad un tratto una voce alle sue spalle. Si voltò, sicuro di riconoscere la persona che sperava. Era Jane. Herbert provò a pronunciare un qualche augurio, a dirle che era felice per lei, ma prima che potesse aprir bocca, la figlia stava già parlando "Ciao papà" disse "ormai dovresti sapere perché sono qui. Ti sei perso e io rappresento per te l'ultima guida. Il Futuro. Spesso non basta pensare a ciò che è stato e a ciò che è per comprendere ciò che sarà "Herbert non capiva "Vedi" riprese "in pochi hanno questa possibilità, sappi che quello che adesso vedrai è solo una delle possibilità che ti si apriranno di fronte. Tutto dipenderà dalle tue scelte. "Detto questo, si avvicinò piano e Herbert poté nuovamente vedere. Era in un ospedale, ma il reparto non era freddo e buio come quelli che frequentava di solito, era colorato e tutti aspettavano con un misto di nervosismo e di eccitazione. Lui era lì, seduto su di una panchina a lato della sala, quando ad un tratto lo chiamarono. Alzò il capo, corse veloce verso una porta in fondo ad un lungo corridoio, dallo sguardo sembrava raggiante. Nella stanza che si aprì di fronte a lui c'era una donna con in braccio una piccola creatura, meravigliosa. Era Jane. Il cuore gli andò a mille e Herbert poté vedere se stesso mentre cullava quella bambina, uno spettacolo meraviglioso. Si riscoprì a lacrimare. Era da quando aveva saputo che sua madre era morta che non piangeva. Ma ora era diverso. Aveva capito, sì aveva capito perché gli avevano fatto vedere tutto questo. Si voltò. Nel prato tre splendide donne lo stavano aspettando con il volto raggiante. "Hai finalmente trovato la strada, caro, sono fiero di te" disse la madre. Sapevo che alla fine avresti capito" disse Mary," Papà, hai visto che bella tua nipote" disse Jane. Herbert aveva capito, aveva dato tanto, ma aveva ancora tanto da dare. Le sue esperienze passate gli erano servite per affrontare meglio quelle future. Aveva perso la speranza, certo, ma poi l'aveva ritrovata e la sua vita era nuovamente ripartita. Herbert fissò le ragazze, dallo sguardo emergeva una nuova sensazione. Le tre donne della sua vita, o meglio tre delle quattro donne della sua vita avrebbe potuto dire adesso, erano dinanzi a lui e gli avevano mostrato la via, gli avevano mostrato la vita. Herbert, per la prima volta dall'inizio del suo viaggio, parlò" Grazie. So di aver ritrovato la mia via". Le donne, si avvicinarono, ma questa volta non si fermarono a pochi passi da lui. Lo abbracciarono. “Fà che questo di dia la forza per proseguire". Herbert si ritrovò nella sua stanza di ospedale. Tre parole che gli cambiarono la vita "Dottore, voglio vivere!"
Motivazione:
Questo racconto, abilmente ricostruito e perfettamente articolato ed esposto, rappresenta una perla di saggezza, il fiore più bello che un adolescente abbia saputo cogliere nel “giardino della vita”, spiegandone il significato più recondito, segnalando a tutti la “strada della speranza”. Il sogno simboleggia l’incontro con l’”IO” più profondo, con cui si può venire a contatto solo quando si soffre e sembrano esaurite tutte le energie vitali. Da questo cupo dolore e desiderio di suicidio, nasce la linfa vitale della difesa, della ripresa, della sfida, la sola che permette di ritrovare la via “smarrita” e la forza per uscirne vincenti.
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